Regole d'oro per un probiotico di qualità

Il probiotico è un microrganismo vivo e vitale che, quando somministrato in quantità adeguate, conferisce benefici a chi lo assume.


Questa definizione, stabilita dall’OMS, definisce alcuni punti fondamentali:

1. Vitalità dei microrganismi e capacità colonizzante: le spore e i batteri liofilizzati non possono essere definiti probiotici. I probiotici inoltre devono essere resistenti ai succhi gastrici e agli acidi biliari, per poter colonizzare l’intestino
2. Il microrganismo deve essere attentamente caratterizzato in termini di ceppo: questa caratterizzazione è fondamentale perché ogni ceppo probiotico ha attività specifiche.
In commercio sono disponibili prodotti contenenti un ceppo singolo o più ceppi insieme. Un prodotto multiceppo può dare molti vantaggi ma è molto importante che la miscela venga formulata sfruttando le sinergie tra microrganismi. In molti casi infatti non basta mettere insieme qualche probiotico che singolarmente ha dimostrato effetti benefici, perché i microrganismi possono anche competere tra loro e alla fine ostacolarsi nell’azione finale. Pertanto è necessario che la miscela venga studiata per dimostrare le effettive sinergie, sottoponendo il prodotto a studi in vitro e in vivo.
3. Quantità adeguate: Il Ministero della salute dice che un probiotico deve contenere almeno 1 miliardo di cellule vive. La maggior parte degli studi clinici però sono fatti con dosaggi nettamente superiori. Inoltre, se consideriamo che il probiotico deve passare lo stomaco e arrivare all’intestino per colonizzarlo, diciamo che una quantità elevata di probiotici ci può garantire una maggiore probabilità che una quota sufficiente di microrganismi raggiunga l’intestino.  È inoltre importante garantire la sopravvivenza di questi batteri fino alla data di scadenza. Esistono enti internazionali indipendenti, come l’European Probiotic Association, che possono certificare la qualità di un probiotico.
4. I probiotici per definizione devono avere effetti benefici sull’ospite: per poterlo stabilire, essi devono essere studiati in vitro e in vivo e si devono definire gli effetti che tali microrganismi possono esercitare sull’organismo che li assume. Questo è un aspetto molto importante, in quanto si possono trovare prodotti che contengono ceppi per i quali non esistono studi che ne abbiano comprovato la reale efficacia. La ricerca su PubMed e il riferimento a linee guida internazionali, come quelle sviluppate dalla WGO, possono aiutare nell’identificazione di ceppi efficaci. Bisogna poi considerare anche un’altra cosa: alcune condizioni di disbiosi severa non possono essere trattate semplicemente con un probiotico, ma necessitano di interventi più completi a supporto dell’intera barriera intestinale.

In linea generale, i probiotici sono sicuri. In alcuni casi tuttavia non devono essere utilizzati, ad esempio nei pazienti immunocompromessi o in quelli portatori di catetere venoso centrale. In questi pazienti può essere utile consigliare dei prebiotici, come inulina o HMO, sostanze che garantiscono la crescita di ceppi benefici e che sono sicuri anche per questa tipologia di pazienti.

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